regia Elisabetta Granara
con Giovanni Baruffa, Anna Peretto e Umberto Zarantonello
coproduzione Gruppo Teatro Campestre e Livello 4

 

C'ero una volta io.
Nella mia vita ne ho passate tante: morte, deformità, smarrimenti, abbandoni, spingersi troppo in là, arrivare troppo tardi, rincorrere una cerva bianca senza mai poterla acchiappare e viaggiare viaggiare per mari e per monti, per lunghi anni, travestiti da vecchie, da re, da mendicanti, trasformati in rane, serpi, corvi, cervi, bestie d'ogni tipo. Perdere la lingua, tacere per cent'anni, capire all'improvviso il linguaggio degli uccelli, svegliarsi senza testa, o con le mani mozzate, e farle ricrescere con radici fatate…

Gli esseri umani sono dotati di un istinto a inventare storie che li fa fuggire dalla cruda realtà: nasciamo, cresciamo, muoriamo. Fosse così, sarebbe una storia triste. Ma in mezzo ci sono molte altre vite, centinaia di avventure con noi protagonisti: le viviamo nei sogni, le condividiamo sui social insieme a una bella foto.

 

"Siamo i grandi capolavori delle nostre menti narranti, i prodotti della nostra stessa immaginazione. Ci pensiamo come molto solidi e reali. Ma i nostri ricordi vincolano la nostra autocreazione meno di quanto crediamo, e sono costantemente distorti dalle nostre speranze e dai nostri sogni. Fino al giorno in cui moriremo, viviamo la storia della nostra vita. E, come un romanzo in corso di stesura, queste storie cambiano ed evolvono in continuazione, vengono corrette, riscritte e abbellite da un narratore inaffidabile. Siamo, in larga misura, le nostre storie personali. E sono storie più verosimili che vere."

L'istinto di narrare, Jonathan Gottschall

 

"Il sentimento della finitudine è il sentimento di avere una vita soltanto. Ma a questo servono le storie: a moltiplicare la vita, a metterla in relazione con la sua infinità."

Storie comuni. La narrazione nella vita quotidiana, Paolo Jedlowski

 

 

Foto di Daniele Calabretti.